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L'Associazione WWF Salento ti dà il benvenuto
sul suo sito
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Biblioteca
Presso il nostro CEA
di Rauccio e la sede del WWF Salento
è possibile accedere alla Documentazione Didattica e al materiale
d’archivio sull’ambiente storico-geografico, paesaggistico e
naturalistico salentino con una raccolta cartografica (storica e
recente) e di una piccola
biblioteca specializzata con circa 300 testi e altro materiale
documentario. Per consultazioni e/o prestiti contattaci all'indirizzo
lecce@wwf.it.
Contributi scientifici:
Aleurocanthus Spiniferus
Euphorbia Dendroides
In Libreria: il
WWF Salento consiglia
Posizione
dell'associazione sui seguenti argomenti
a cura del
Comitato
Tecnico-Scientifico del WWF Salento
Cambiamenti
climatici, ambiente ed energia
Linee guida per una strategia nazionale di adattamento e mitigazione
Difendiamo
gli Ulivi del Salento
- Emergenza Xylella:
Il dramma rappresentato
dal disseccamento degli ulivi nel Salento deve essere un'occasione
virtuosa per il rilancio sostenibile dell'olivicoltura, in una più ampia
prospettiva agroecologica, culturale e di rivalutazione paesaggistica
dell'olivo.
Il WWF ritiene che il
disseccamento degli ulivi debba essere studiato in ogni sua componente e
complessivamente, in maniera tale da cogliere le profonde alterazioni
causate dall’opera dell’uomo e dai cambiamenti complessivi degli
equilibri ecologici. Deve essere questa la linea guida che deve ispirare
la ricerca, l’attuazione delle azioni di prevenzione e le indicazioni
operative che il mondo agricolo - e non solo - aspetta da tempo.
Non si può ignorare,
pur in questo delicato momento, che la diffusione della monocoltura
olivicola (in provincia di Lecce è oltre il 50% della Superficie
Agricola Utilizzata) e l’uso incontrollato di diserbanti e pesticidi ha
determinato una preoccupante riduzione della biodiversità.
E’ bene ricordare che
il territorio pugliese (quello salentino in particolare) è agli ultimi
posti tra le regioni italiane come percentuale di aree boscate e
seminaturali in rapporto alle superfici agricole, e che esso denota dal
“Rapporto di Valutazione ambientale strategica del Programma operativo
2007-2013 uso del suolo, attività estrattive, vulnerabilità alla
desertificazione, rischio naturale (idrogeologico e sismico)”, una
medio-alta vulnerabilità all’erosione e alla desertificazione.
Occorre ammettere che
da troppo tempo nel Salento, per responsabilità diffuse (da parte di
istituzioni, operatori e organizzazioni agricole, produttori e fornitori
di prodotti per agricoltura) sono state accettate e praticate attività
che hanno portato ad una progressiva riduzione delle sostanza organiche
nei terreni, con conseguenze compromissione delle naturali capacità di
difesa degli organismi vegetali. Parallelamente i mutamenti climatici in
atto sono responsabili di fenomeni di diffusione di organismi animali e
vegetali estranei, causati anche del rilevante e spesso incontrollato
traffico mondiale di essenze vegetali, rispetto ai quali i nostri
habitat hanno limitate capacità di difesa.
Tutto ciò ha
sconvolto, nel giro di pochi decenni, millenari equilibri naturali, che
oggi chiedono il conto, come è nell’ordine naturale delle cose. Oggi la
Xylella, domani si potranno registrare altri drammatici effetti di un
sovvertimento crescente di consolidati equilibri.
In questo quadro il
WWF Puglia Ritenendo che questa emergenza,
oltre al dovere di affrontarla con soluzioni adeguate sotto l’aspetto
ambientale, economico e sociale, sia l’occasione per il Salento di
riconsiderare il sistema agricolo e olivicolo sulle basi di un ritorno
all’utilizzo delle pratiche rispettose dell’ambiente, della biodiversità
e del paesaggio,
Propone agli enti
competenti che attuino o promuovano le seguenti azioni:
1) che la ricerca
scientifica, che ha visto l’impegno di enti qualificati (Osservatorio
Fitosanitario Regionale della Puglia, Università di Bari - Dipartimento
di Scienze del Suolo della Pianta e degli Alimenti, CNR - Istituto di
Virologia vegetale di Bari, Consorzio di Difesa delle Produzioni
intensive della provincia di Lecce) sia estesa alle altre istituzioni
scientifiche come lo IAMB di Valenzano, le Università di Foggia e del
Salento, le Organizzazioni pubbliche e private della provincia di Lecce,
e che possa avvalersi di adeguati finanziamenti.
2) che si attivino
azioni organiche per eliminare o perlomeno limitare l’uso di erbicidi e
disseccanti nelle colture olivicole, proponendo sostanze più naturali e
meno nocive, favorendo quanto più possibile tecniche di agricoltura
biologica; i dati elaborati dall'Arpa Puglia nella relazione sullo stato
di salute del 2011 dicono che la Puglia, con 155.555 quintali di
prodotto distribuito nel 2010, resta al quarto posto in Italia per
quantità di fitofarmaci utilizzati;
3) che si evitino
interventi massicci e indiscriminati che prevedano eradicazioni e uso di
pesticidi, in quanto potrebbero risultare controproducenti e nocivi alla
salute e all’ambiente e che si promuova la diffusione delle buone
pratiche agricole, che comprendano idonee potature periodiche, lo
sfalcio dei manti erbosi (in alternativa al diserbo chimico), l’uso di
fito-farmaci più naturali (es. poltiglia bordolese), l’impiego di
fertilizzanti organici;
4) che, nell’estrema
necessità di effettuare eradicazioni di piante infette, sia posta
rigorosa attenzione alle alberature monumentali e di pregio sulle quali
invece dell'abbattimento si potrebbe mettere in atto la sperimentazione
scientifica;
5) che sia avviato un
Piano (quinquennale/decennale) di risanamento e rinaturalizzazione del
territorio salentino (in aree pubbliche e private) con la creazione di
corridoi ecologici, in grado di elevare il livello di biodiversità, e
con il contenimento del consumo di suolo e della cementificazione della
campagne.
6) Che si preveda
il ristoro economico sostenibile per gli olivicoltori danneggiati
7) Che si apponga
vincolo paesaggistico ancora più rigido (come per le aree naturali
colpite da incendi) con il divieto assoluto di modificare la
destinazione agricola dei terreni interessati. Vanno adottate,
infatti, tutte le misure a salvaguardia della destinazione agricola di
tutti i suoli, onde evitare che la vicenda del disseccamento favorisca
operazioni di speculazione edilizia a danno della tutela del territorio;
8) Che si ponga
l’obbligo di interventi di manutenzione ordinaria degli oliveti
abbandonati e da affidare eventualmente in comodato ad aziende agricole
operanti sul territorio;
9) Che si proceda ad
una rigorosa verifica e monitoraggio degli adempimenti previsti dalla
PAC.
WWF Salento - WWF Puglia
Centrali termoelettriche a biomasse nel Salento:
Opportunità e rischi per l’ambiente e la salute.
II proliferare di progetti per realizzare centrali elettriche alimentate
a biomasse in tutta la
Provincia ha già suscitato in vasti settori della società civile e
dell'opinione pubblica salentina
una decisa quanto motivata opposizione. Il WWF provinciale ne condivide
le ragioni, e ne
aggiunge di sue.
Pur aspettando di valutare singolarmente ed in dettaglio le diverse
situazioni, la
nostra contrarietà è fondata su una realistica valutazione dei rischi
assai concreti,
e dei benefici assai dubbi, che deriveranno dall'eventuale realizzazione
di questi
progetti (sulla cui opportunità, come spesso accade, non sono state
chiamate ad
esprimersi né la società civile né le popolazioni interessate).
Non siamo contrari in linea di principio all'impiego delle biomasse come
fonte
rinnovabile di energia. Al contrario, il WWF le ha sempre annoverate tra
le fonti da
promuovere per conseguire gli obiettivi di una minore dipendenza dai
combustibili
fossili e di una sensibile riduzione dei cosiddetti gas "serra". Ma le
scelte in tema di
politiche energetiche devono tenere conto del contesto nel quale si
esplicheranno.
Le nostre obiezioni ai progetti fin qui avanzati riguardano due
questioni specifiche
per il Salento: le conseguenze per la salute e la qualità della vita
delle popolazioni
interessate e l'effettivo contributo dei progetti allo sforzo per
conseguire uno
sviluppo ispirato all'eco-sostenibilità.
Riguardo alla prima questione, è evidente che le nuove centrali, anche
se dotate
delle più moderne tecnologie, contribuirebbero comunque ad accrescere i
livelli di
inquinamento dell'aria e del terreno, che in questo territorio hanno già
assunto
dimensioni allarmanti a causa degli insediamenti industriali di Brindisi
e di Taranto
e della centrale termoelettrica a carbone di Cerano. È difficile trovare
una valida
giustificazione per scelte che aumentano il rischio per la salute dei
cittadini e
dell'ambiente, in un territorio come il nostro nel quale da diverso
tempo si segnala
un aumento consistente dell'incidenza di malattie tumorali; tanto più
quando il
costo in termini di salute collettiva
non appare giustificato da reali fabbisogni energetici ai quali non si
potrebbe in
altro modo far fronte.
Molti dimenticano, troppo facilmente, che già adesso in Puglia, viene
prodotta più
energia elettrica di quanta ne occorra per i nostri fabbisogni domestici
ed
industriali. La considerazione, sollevata da più parti, che è necessario
farsi carico
di queste problematiche su ampia scala si contrappone in maniera
incontrovertibile
alle strategie socio-economiche e agli studi tecnico-scientifici di
elevato livello
qualitativo che impongono una corretta pianificazione degli insediamenti
energetici
su scala locale per garantire un giusto equilibrio tra costi e benefici.
Quanto alla sostenibilità ecologica dei progetti, la loro
giustificazione ci appare, ci
si consenta questo gioco di parole, francamente insostenibile. I
benefici ambientali
dell'impiego delle biomasse appaiono evidenti e decisivi solo se le
stesse biomasse
sono i sottoprodotti delle pratiche agricole o delle lavorazioni
industriali di colture
vegetali destinate all'alimentazione o alla produzione di fibre o di
legname
lavorabile. Quando invece, sono ricavate da monocolture intensive
esplicitamente
destinate a tale scopo, i vantaggi ecologici ed energetici si riducono
fino ad
annullarsi, come dimostrano ripetutamente gli studi in questo settore
("biocarburanti" per autotrazione compresi).
Nel quadro delle nuove strategie socio-economiche territoriali di
qualità messe in
campo da enti, istituzioni e da una certa imprenditorialità più evoluta
e sensibile,
non è dunque accettabile che ampie superfici agricole vengano sottratte
alle
produzioni tradizionali per destinarle alla coltivazione diretta di biomasse che
assicurerebbero solo vantaggi esigui in termini ambientali; infatti,
nonostante la
stessa biomassa sia una fonte rinnovabile (derivata dal Sole), le
moderne pratiche
agroindustriali ed il
trasporto del prodotto finale al sito di utilizzo necessitano l'impiego
di petrolio e
dei suoi derivati. È un percorso progettuale molto deludente per
un'alternativa alla
dipendenza dai combustibili fossili.
Purtroppo i progetti in cantiere prevedono proprio l'impiego di biomasse
da colture
(in particolare girasole) destinate a tal fine, avvantaggiandosi degli
incentivi
pubblici previsti per la conversione, per esempio, delle aree destinate
in passato
alla coltivazione del tabacco. Queste coltivazioni richiedono, tra
l'altro, una
consistente disponibilità di acqua per le irrigazioni, un problema
alquanto
trascurato malgrado la cronica penuria idrica del nostro territorio. Non
solo. Poiché
la produzione locale di biomasse potrebbe rivelarsi insufficiente, già
si ipotizza la
necessità di importarle dall'estero; in tal caso verrebbero
completamente disattese
le esigenze di eco-sostenibilità, con un bilancio in passivo sia in
termini energetici
che di emissione dei cosiddetti gas serra.
Se il ricorso alle biomasse nasce da una reale esigenza
socio-ambientale, e non da
valutazioni di natura meramente economica (profitti per le imprese e
royaltìes per
rimpinguare le finanze municipali), allora una delle strade serie
percorribili è quella
che porti alla realizzazione di impianti di potenza limitata, alimentati
da biomasse
ottenute dagli scarti delle lavorazioni agricole provenienti dallo
stesso
comprensorio che ospita la centrale (nel nostro contesto, in particolare
quelle
dell'olivo e della vite).
Altre soluzioni sostenibili potrebbero essere la produzione di biogas e
compost di
elevata qualità derivati sempre da biomasse costituite da resti di
lavorazione
agricole salentine.
Per quanto riguarda la scelta dei siti interessati, questa non può
essere lasciata
alle scelte discrezionali delle singole Amministrazioni locali (come
contemplerebbe
il nuovo Piano Energetico Regionale) ma, dopo aver coinvolto le comunità
interessate, andrebbe demandata ad un organo
decisionale intercomunale per armonizzare le politiche energetiche
evitando
situazioni di "affollamento" di siti, soprattutto nelle zone di confine
tra più feudi
(come avverrebbe, per esempio, se le centrali previste a Novoli e nella
zona
industriale di Lecce fossero entrambe realizzate).
Infine, alla nuova potenza generata dovrebbe corrispondere, con un
meccanismo
di compensazione, certificato e controllato in maniera rigorosa,
un'equivalente
riduzione delle potenze di esercizio delle grandi centrali elettriche a
combustibile
fossile, a cominciare da quella di Cerano che,
con buona pace degli impegni assunti con la sottoscrizione del
Protocollo di Kyoto,
continua ad essere alimentata dal vecchio e inquinante carbon fossile.
È, la nostra, una posizione ragionevole, non pregiudizialmente avversa
allo
sviluppo e alla diversificazione delle fonti energetiche, ma anche
attenta agli
interessi collettivi ed al coinvolgimento delle comunità locali. Queste
ultime, però,
devono guadagnarsi da sé l'influenza che hanno il dirittodovere di
esercitare sulle
scelte che le riguardano, perché né il mondo imprenditoriale né il ceto
politicoamministrativo
sembrano spontaneamente disposti a riconoscere loro.
In questa prospettiva, un elemento importante è il peso che potrà
esercitare
l'associazionismo ambientalista e culturale nella direzione di una
proposta credibile
e di qualità in rete con altre realtà associative; ciò potrebbe
contribuire molto
positivamente nelle controversie e negli accesi dibattiti che si sono
aperti (e che si
apriranno sempre più) intorno all'ipotesi di costruzione di una
moltitudine di
centrali termoelettriche a biomasse nel Salento.
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Emissioni, gas serra e clima
- Ridurre del 30% le emissioni dei gas serra entro il 2020.
Questo l’importante obiettivo, che riguarda l’Italia come il resto
d’Europa, che si è dato il WWF ed è il punto di partenza della Campagna
GenerAzione Clima.
Il raggiungimento di questo obiettivo contribuirà a salvaguardare il 30%
delle specie animali e vegetali oggi a rischio
estinzione a causa dei cambiamenti climatici e alla riduzione degli
impatti del clima anche sull’uomo.
Allo stato attuale, in Italia mancano strumenti di programmazione
economico- legislativa su clima ed energia, sia nel
breve che nel medio-lungo periodo, che possano garantire il
raggiungimento degli obiettivi di riduzione sopra indicati e la
realizzazione di obiettivi ancora più ambiziosi per il futuro.
L’assunzione di responsabilità da parte delle Istituzioni nazionali è
quindi un aspetto fondamentale. Ecco perché il MANIFESTO PER IL CLIMA,
strumento con il quale la campagna GenerAzione Clima propone e chiede ai
cittadini di appoggiare l’adozione di una strategia integrata sul clima
a livello istituzionale.
Si proporrà la definizione di un obiettivo di riduzione delle emissioni
di gas serra di lungo termine, e di tappe pluriennali; tali obiettivi
avranno valore di impegno non modificabile.
Questo porterà necessariamente a una serie di strumenti strategici che
consentiranno al nostro Paese il raggiungimento reale degli obiettivi
fissati, sulla scorta di quanto sta già accadendo nei maggiori Paesi
Europei, a cominciare dalla Gran Bretagna.
Generazione Clima chiede, dunque, un’attivazione collettiva per
diminuire del 30% al 2020 le emissioni di gas serra.
Tra i punti d’intervento strategici vi sono:
• la progettazione di case e luoghi di lavoro eco-sostenibili;
• l’uso dei mezzi pubblici di trasporto e dei veicoli non inquinanti;
• un ripensamento del sistema produttivo in termini di qualità e
sostenibilità ambientale;
• il sostegno a una produzione agricola locale attenta ai valori e alle
risorse ambientali ed una corretta gestione delle aree naturalistiche;
• una politica energetica che favorisca lo sviluppo e l'utilizzo locale
delle risorse rinnovabili.
In Italia il 30% della spesa energetica dipende dalle nostre abitazioni,
che sono responsabili di circa il 27% delle emissioni nazionali di gas
serra. Ogni famiglia di 4 persone consuma per la casa circa 1,8 TEP
(tonnellate equivalenti di petrolio) all’anno, per l’uso di combustibili
e di energia elettrica.
Più della metà di tale consumo è assorbito dal riscaldamento. Inoltre,
di tutta l’energia consumata in una stagione per riscaldare un edificio,
una buona parte viene dispersa dalle strutture (tetto, muri, finestre) e
una parte dall’impianto termico (rendimento).
Questi consumi possono essere drasticamente ridotti.
Riducendo le dispersioni e utilizzando apparecchi ad alta efficienza, ad
esempio, ogni famiglia può risparmiare dal 20 al 40% delle spese per
riscaldamento, con notevoli vantaggi per il bilancio economico familiare
e per l’ambiente.
Per raggiungere l’importante obiettivo di riduzione del 30% delle
emissioni al 2020 è fondamentale l’attivazione del settore dei trasporti
e mobilità sostenibile (la Carta di Aalborg 1994 per lo sviluppo urbano
sostenibile prevede, nelle città, la priorità ai mezzi di trasporto
ecologicamente compatibili e la disincentivazione dell’uso superfluo dei
veicoli a motore mediante apposita pianificazione con percorsi ciclabili
e pedonali o l’uso dei mezzi pubblici) . L’apporto del settore dei
trasporti alle emissione di CO2 in Italia è, infatti, pari al 25% del
totale delle emissioni.
A determinare questa situazione contribuisce in maniera assolutamente
rilevante il fortissimo squilibrio in favore del traffico veicolare che,
secondo i dati aggiornati al 2005, ha raggiunto nel nostro Paese una
quota del 92,4% del traffico passeggeri e del 65,8% del traffico merci a
fronte di medie europee decisamente inferiori, rispettivamente attorno
al 78% e al 44%.
Il WWF nell’ambito della Campagna GenerAzione Clima intende coinvolgere
anche il mondo produttivo perché il contributo che le grandi aziende
possono dare alla lotta ai cambiamenti climatici è fondamentale, sia per
la riduzione degli impatti diretti (riduzione delle emissioni di gas
serra) che per la realizzazione di prodotti e servizi che concorrono al
raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
Il Programma Internazionale WWF Climate Savers propone alle grandi
aziende di adottare volontariamente piani di riduzione delle emissioni
di gas serra, attraverso strategie e tecnologie innovative che
consentono loro di assumere il ruolo di leader nella riduzione delle
emissioni di CO2 in un determinato settore.
Il Programma promuove l’efficienza energetica nei processi produttivi e
negli stabilimenti/sedi, l’utilizzo/produzione di prodotti ad alta
efficienza, l’utilizzo di fonti rinnovabili.
Climate Savers è la dimostrazione concreta di come le aziende che
agiscono a favore del clima riescano a cogliere anche notevoli
opportunità di sviluppo. La lotta al cambiamento climatico, in altre
parole, si traduce per l’azienda in efficienza e risparmio energetico,
innovazione e competitività.
L’abbattimento delle emissioni di CO2, che l’Italia dovrà effettuare,
potrà essere garantito anche dai “serbatoi” di carbonio rappresentati
dai boschi.
Più di un terzo della penisola è ricoperto di verde. I dati del nuovo
Inventario nazionale assegnano a questa superficie un’estensione di
oltre 10,457 milioni di ettari, pari al 34,7% del territorio nazionale.
All’interno di questo dato la superficie boschiva viene indicata in
8,759 milioni di ettari, corrispondente al 29,1% della superficie
nazionale.
Liguria e Trentino sono i distretti territoriali più densamente boscati:
con un grado di copertura percentuale rispettivamente del 62,6 e del
60,5%, queste regioni costituiscono gli unici ambiti amministrativi in
cui il bosco copre più della metà del territorio.
Per contro le regioni più povere di boschi sono la Puglia e la Sicilia,
con percentuali di superficie boscata rispettivamente del 7,5 e del 10%.
Grazie all’azione di assorbimento esercitata dalla superficie forestale,
l’Italia si troverà garantita una quota di deduzione pari a circa l’11%
del totale delle emissioni da abbattere.
In termini economici questa quota vale non meno di 750 milioni di euro:
tale, infatti, sarebbe la spesa che occorrerebbe sostenere per coprire
un’analoga quota acquistando dall’estero i crediti mancanti secondo il
meccanismo dell’emission trading.
L’Italia è il Paese del sole e del vento, eppure siamo in ritardo
persino rispetto alla Germania, situata certamente a latitudine
maggiore, nella produzione di solare e fotovoltaico perché, dal
dopoguerra, abbiamo puntato solo sul nucleare e sul carbone, le cui
emissioni “climalteranti” sono tra le più alte, oltre a generare
un’esposizione a patologie mortali tra le più significative al mondo.
Ma se vogliamo che le fonti di energia rinnovabile, diano un contributo
sostanziale alla nostra produzione di energia, dobbiamo considerare che,
nella maggior parte dei casi, esse sono discontinue, salvo la geotermia
e la biomassa. La rete elettrica, attualmente esistente, è stata pensata
per funzionare con centrali ad energia concentrata e non dispone di
sistemi di accumulo. Con l’introduzione su larga scala di energie
rinnovabili discontinue tale fragilità verrebbe accentuata e non
consentirebbe la chiusura delle centrali tradizionali.
Dobbiamo, per questo, effettuare una rivoluzione rispetto alle nostre
abitudini consolidate e pensare in termini di generazione distribuita di
energia a partire da risorse presenti sul territorio.
La grave crisi in atto ed il mondo globalizzato impongono di pensare ed
agire in termini planetari: il genere umano non può più permettersi di
impostare i propri meccanismi politici ed economici in termini di
competizioni di piccoli gruppi o nazioni.
E’ altrettanto importante, contestualmente, pensare ed agire sul
territorio: reperendo le energie rinnovabili presenti in esso,
rispettando gli equilibri del suo ecosistema, riqualificando la terra e
il mare, valorizzando la biodiversità e il paesaggio, sensibilizzando la
popolazione verso una cultura della sobrietà energetica che sappia
tradursi in stili di vita sostenibili, investendo nella formazione e
condividendo il meglio delle esperienze regionali messe in campo.
E’ questa la politica che dovrebbe seguire il Salento, che agli sforzi
compiuti nello sviluppo delle energie rinnovabili, sappia imporre delle
regole precise per una sistematica e consequenziale riduzione della
produzione di energia da fonti fossili. La nostra Associazione pertanto
chiede che vengano varate rigide normative che impongano all’Enel (e
alle altre compagnie elettriche) di ridurre progressivamente, attraverso
protocolli di verifica da parte di enti terzi qualificati, la riduzione
di energia derivante da fonti fossili man mano che sul nostro territorio
viene prodotta energia da fonti rinnovabili come l’eolico e il
fotovoltaico.
Occorre dunque sostenere una politica in grado di dimostrare quanto
l’autonomia energetica di un Paese possa essere raggiunta senza
ricorrere al nucleare, così come previsto nei piani del Governo attuale.
Attualmente questa forma di energia copre poco più del 6% del fabbisogno
energetico mondiale ed è destinata a ridursi drasticamente nei prossimi
decenni per problemi legati alla gestione delle scorie, ai costi
proibitivi di dismissione delle centrali che hanno concluso il proprio
ciclo di vita (a meno che non vengono scaricati sulla collettività) e al
costo per kWh dell’energia prodotta. Si tenga presente che secondo una
stima del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, alla luce degli
attuali prezzi di mercato, se oggi si pensasse di costruire una nuova
centrale nucleare, ciò comporterebbe oltre 8-10 anni di lavori e un
costo dell’energia elettrica di 6,13 centesimi di dollaro per ogni kWh
contro i 4,96 da gas, 5,34 da carbone e 5,05 da eolico.
Ci auguriamo che il nostro Paese possa unirsi alla sfida globale ai
cambiamenti climatici, è questa un’opportunità in grado di fornirci i
mezzi per ripensare il nostro modo di produrre e consumare, con la
migliore capacità di visione e di innovazione possibile.
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Fotovoltaico
[documento in fase di
redazione]
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Nucleare
(documento dell' aprile 2006)
Posizione WWF Italia
Appello
per un Comitato Nazionale Fermiamo il nucleare, non serve all’Italia
A distanza di 20 anni dal disastro di
Chernobyl, il più grave incidente nucleare della storia, il dibattito
sul futuro di questa fonte energetica appare più vivo che mai. Crisi del
petrolio, aumento dei consumi, cambiamento climatico sono solo alcune
delle motivazioni che spingono molti a riconsiderare l’opzione nucleare
come percorribile e necessaria.
Occorre dire, in realtà, che tutto il dibattito sull’energia nucleare
risulta in qualche modo fondato su una serie di inesattezze e falsi
miti. Negli scorsi decenni il nucleare ha perfettamente incarnato il
modello di fede cieca nella tecnologia, ritenuta capace di risolvere
tutti i problemi dell’umanità, e non solo quelli energetici. L’uomo ha
pensato di poter imbrigliare l’atomo per produrre energia “infinita” e
“pulita”. I fatti hanno però dimostrato esattamente il contrario:
l’energia nucleare non solo non era infinita ma ancor di più non era
pulita. E prima ancora di avere risolto i problemi connessi con la
sicurezza degli impianti, con il loro smantellamento al termine del
ciclo di vita e con la gestione delle scorie, decine e decine di
centrali sono state costruite in molti paesi industrializzati e non.
Ma questa è la storia, il passato, giacché attualmente risultano di
fatto fermi la maggior parte dei programmi di sviluppo ed espansione
dell’energia nucleare in quasi tutti i paesi del mondo se non i quelli
che stanno cercando di dotarsi di un proprio arsenale di armi atomiche o
quei paesi emergenti come la Cina e l’India che, sotto la pressione di
una economia fortemente in crescita, vedono nel nucleare, sovvenzionato
e sostenuto dallo stato, una delle possibili opzioni per far fronte alla
crescente richiesta di energia elettrica.
Del resto che il contributo attuale al fabbisogno energetico mondiale
fornito dal nucleare si attesti sul modesto valore del 6,5% dell’energia
primaria è la IEA (International Energy Agency – World Energy Outlook
2005) ad affermarlo. La stessa Agenzia non ha problemi a dichiarare che
questo contributo sarà destinato a ridursi al 4,5% nel 2030. Se andiamo
ad analizzare le ragioni di questa crisi ci accorgiamo che sono di
natura economica ancor prima che ambientale e sociale.
Quella nucleare è da sempre stata la più costosa delle fonti energetiche
e questo non sono le associazioni ambientaliste a sostenerlo ma enti ed
università peraltro notoriamente non avverse a questa risorsa. Il
Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha recentemente stimato che
se oggi si pensasse di costruire una nuova centrale nucleare, questa
sarebbe terminata dopo il 2010 e, alla fine il costo di 1 kWh di energia
elettrica verrebbe a costare 6,13 centesimi di dollaro, quando lo stesso
kWh prodotto da gas costerebbe 4,96 centesimi e quello da carbone 5,34,
addirittura costerebbe meno l’energia da fonte eolica (5,05 centesimi a
kWh). Si tratta peraltro di stime ottimistiche e benevole nei confronti
del nucleare, ma il risultato resta quello di una bocciatura dal punto
di vista economico di questa fonte energetica. A risultati analoghi
giunge un importante studio realizzato dalla Chicago University. Anche
il Massachusetts Institute of Technology in uno studio del 2003
assegnava i costi più alti al kWh nucleare.
In realtà queste valutazioni economiche, già poco favorevoli all’energia
nucleare, potrebbero essere fortemente sottostimate in particolare per
quanto concerne i costi del “decommissionamento” degli impianti e il
trattamento delle scorie di lungo periodo.
Del resto non è un mistero che se negli scorsi decenni la tecnologia
nucleare si è sviluppata è stato solo grazie ai massicci finanziamenti
governativi strettamente connessi alla corsa agli armamenti nucleari.
Gli elevati capitali di rischio e i tempi troppo lunghi di costruzione e
di rientro sull’investimento hanno rappresentato uno dei più forti
deterrenti per gli investimenti privati. Sono questi alcuni dei motivi
per cui la Banca Mondiale evita di fare investimenti nel settore
nucleare.
Ed è probabilmente per le stesse ragioni che negli USA non si
costruiscono più reattori nucleari dal lontano 1984. Ai già citati costi
economici bisognerebbe poi aggiungere quelli umani e sociali legati al
problema della sicurezza, non solo per l’impianto termonucleare ma anche
per il deposito di stoccaggio delle scorie, per il trasporto del
materiale esausto, ecc. Si tratta di costi notoriamente sottovalutati e
che nessuna compagnia di assicurazione copre: il tutto ricade sulle
finanze dello stato e quindi sulla collettività.
Altro falso mito è connesso alla presunta abbondanza dell’uranio in
natura. È vero si che si tratta di un minerale piuttosto diffuso ma solo
in concentrazioni infinitesime, tanto basse da non risultare
praticamente sfruttabili. Oggi solo in pochi paesi sono presenti
importanti giacimenti e oltre il 50% delle riserve accertate risultano
concentrate in Australia, Kazakistan e Canada.
Da un recente lavoro curato da Giuseppe Onufrio e Edo Ronchi dell’ISSI
(Istituto Sviluppo Sostenibile Italia) è emerso che le riserve
commercialmente estraibili ai costi attuali (40 $/kgU) consentirebbero
il funzionamento per meno di 40 anni dei reattori che erano in funzione
al 2000. Nel complesso, le riserve di Uranio commercialmente estraibili
coprirebbero un arco di poco oltre un secolo tenendo costante i consumi
all’anno 2000. Va da sé che, se si pensasse di sostituire, per la
produzione di elettricità, tutta l’energia fossile con quella nucleare
occorrerebbe realizzare alcune migliaia di nuove centrali e quel punto
le riserve di uranio si esaurirebbero nel giro di
pochissimi anni.
I sostenitori del nucleare affermano che si tratta di una fonte pulita e
sicura, quasi che ci si dimentichi dell’enorme
problema della gestione delle scorie. L’energia nucleare, nel suo ciclo
di produzione, inevitabilmente origina delle scorie radioattive la cui
gestione costituisce di fatto il più grave dei problemi non risolti. Il
fatto che la ricerca della soluzione a questo problema abbia goduto per
50 anni degli investimenti più massicci rispetto a qualsiasi altra
tecnologia ci fa temere che il problema resterà insoluto anche perché
non esiste la possibilità scientifica di dimostrare il mantenimento
delle condizioni di sicurezza necessarie per alcune centinaia di
migliaia di anni richieste dai rifiuti radioattivi.
Anche solo alla luce di quanto appena detto appare assai poco
comprensibile tutto il dibattito recentemente sviluppatosi, in Italia,
sul rilancio del nucleare a cui il nostro paese aveva rinunciato con il
referendum del 1987. Il nostro Paese deve ancora fare i conti con quel
poco di nucleare fatto in passato occupandosi dello smantellamento degli
impianti e della collocazione finale delle scorie prodotte. Mettere in
sicurezza gli 80.000 m3 di scorie provenienti dalla demolizione delle
parti contaminate dei reattori e dai combustibili esausti costerà
all’Italia diversi miliardi di euro. Un prezzo che già oggi in qualche
modo stiamo pagando sulle nostre bollette della corrente elettrica.
Il caso di Scansano Ionico, individuato dal Governo Berlusconi come sito
nazionale per lo stoccaggio delle scorie, ha mostrato poi un altro
aspetto di non secondaria importanza: la scarsa accettazione sociale che
contraddistingue opere altamente impattanti, anche dal punto di vista
del danno allo sviluppo economico di un’area, oltre che di minaccia
diretta per la salute dell’uomo e dell’ambiente, adesso ed in futuro.
Appare quindi sempre più evidente che l’unica strada sostenibile in
materia di energia sia quella rappresentata
dall’efficienza energetica e dal sempre più forte ricorso alle fonti
rinnovabili e pulite.
I nostri auspici, e un invito alla classe politica salentina, sono
pertanto per un forte e concreto impegno per sostenere, appunto,
l’efficienza energetica degli edifici pubblici e privati, lo sviluppo
del fotovoltaico, del solare termico, del medio e, soprattutto piccolo
eolico (abbiamo proposto e sosteniamo anche il grande eolico solo nel
caso di impianti in mare distanti dalla costa definiti “offshore”)
stante le peculiari caratteristiche paesaggistiche e climatiche del
Salento e dell’enorme superficie “captante” costituita dalle migliaia
terrazze delle abitazioni della nostra provincia.
Il nostro contributo al grande Piano
Energetico Nazionale ed Europeo deve partire non da un’impostazione solo
“globale” ma occorre che il “locale” diventi protagonista del
cambiamento. È tempo, insomma, del cosiddetto “glocalismo” sostenibile -
un neologismo oggi in voga - che cerca, anche se con molte critiche (Mander
e Goldsmith 1998), di coniugare la globalizzazione dei mercati (con le
regole) e la professionalità e la creatività locale per contribuire
concretamente ad una diversa qualità della vita.
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Parchi
eolici nel Salento
Premessa
Gli aspetti connessi agli impianti per la produzione di energia
alternativa e rinnovabile nella realtà del nostro territorio rivestono
particolare complessità per una serie di ragioni socio-economiche,
politico-amministrative e per le peculiari caratteristiche
paesaggistiche del Salento.
In estrema
sintesi, se ci riferiamo al solo settore della produzione di energia
eolica, la cronaca passata e recente testimonia numerose difficoltà di
accettazione di tale tipo di impianti da parte della popolazione salentina
che risiede in numerosissimi comuni (97) molto vicini tra loro. È
notorio, infatti, che la realizzazione di un impianto eolico realizzato
in un certo territorio comunale del Salento - comporta delle royalty
(e/o altre "prebende") all'amministrazione locale - anche per
il negativo impatto paesaggistico (!?) che determina a scapito dei
comuni viciniori che a loro dire ricevono solo "danni" (?!) e senza
nessun risarcimento. Sono ormai anni che si assiste a continue
polemiche in tal senso. In alcuni casi interviene anche la Soprintendenza
ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici.
Il linguaggio alla fine, come sempre, è legato solo a benefici economici
concreti e immediati visto soprattutto che le risorse degli enti locali
sono sempre più esigue e che le "rimesse" da parte del Governo sono
continuamente tagliate.
Il vantaggio
degli impianti eolici offshore,
invece,
è che tutto questo viene eliminato:
- Le
competenze sono demandate a enti "superiori" (Governo e/o Regione)
evitando conflitti e polemiche;
- Le potenze
delle torri possono essere superiori (non c'è l'esigenza di ridurne
l'altezza per questioni paesaggistiche)
- Possono
essere aggiunte altre tecnologie come la produzione di energia che si
può ottenere dal moto ondoso e dalle correnti;
- Un aspetto
tecnologico molto importante (e potrebbe essere un nostro suggerimento
"originale") è che l'istallazione di un impianto di questo tipo nel
Canale d'Otranto ha già la possibilità di connettersi nella rete
internazionale intercettando - se così possiamo dire - il cavo già
esistente tra l'Italia e la Grecia che "attracca" a Otranto nei pressi
del porto.
- Ci sono
anche altri vantaggi minori ma importanti come per esempio la
possibilità di essere un "ancoraggio" di fortuna in caso di naufragio o
di difficoltà di natanti, ecc.
PARERE TECNICO SUL PARCO EOLICO OFFSHORE SU PIATTAFORME
SOMMERSE A SPINTA BLOCCATA, IN ACQUE PROFONDE NELLO SPECCHIO D’ACQUA
CANALE DI OTRANTO, LOC. TRICASE – PROPRIETA' SKY SEVER SRL.
Dando per
acquisita, e condivisa da tutti, la conoscenza degli indubbi vantaggi
della produzione di energia da fonte eolica, sia dal punto di vista
economico, che ambientale, non vi è, comunque, dubbio che non si debba
generalizzare e pensare di poter installare, impianti di decine di MW di
potenza, in qualsivoglia sito, indipendentemente dal contesto in cui si
verrebbero a trovare ed indipendentemente dall'architettura e dalla
tecnologia usata.
Nel caso
dell'impianto proposto dalla Sky Sever srl, dall'analisi della
documentazione tecnica messa a disposizione, risulta evidente come siano
stati presi in esame, in sede di progetto, tutti i punti di criticità,
sia dal punto di vista paesaggistico, che ambientale, oltre che della
sicurezza e della ricaduta economica/occupazionale sul territorio.
Rimanendo nel
campo paesaggistico/ambientale, da quello che risulta dall'esame
dello Studio di Impatto Ambientale presentato, non sembra che ci siano
motivi per opporsi all'implementazione di una simile struttura che, in
teoria, non presenta ripercussioni negative rilevanti sull'ambiente, una
volta che l'impianto arrivi a funzionare a regime.
Gli unici impatti
degni di nota, sembrano presentarsi solo nella fase iniziale di messa in
opera ed attivazione dell'impianto e, comunque, sembrano essere
programmati per avere i minimi effetti negativi possibile.
Ciononostante, si
richiede una maggiore attenzione ad alcuni aspetti che potrebbero
presentare delle criticità, forse, non abbastanza indagate nei loro
effetti sull'ambiente.
Nel dettaglio:
·
per
quel che riguarda l'inquinamento acustico, si dovrebbe accertare
che le emissioni dell'impianto non siano nel campo delle frequenze che
vanno dai 20 kHz ai 200 kHz, per scongiurare qualsivoglia danno alle
capacità di ecolocazione e di udito dei cetacei;
·
per
le vernici antivegetative, benché si riconosca la necessità del
loro uso, se ne raccomanda la loro applicazione ai casi strettamente
necessari e l'impiego di prodotti esenti da TBT (pesticida tossico per
la fauna marina);
·
per
le protezioni catodiche, si approva la scelta degli “anodi
sacrificali” in alluminio, al posto di quelli in magnesio o di zinco e
mercurio, ma si chiede di valutare la possibilità di impiegare dei
sistemi di protezione catodica a corrente impressa con anodo in titanio;
·
per
l'emissione di radiazioni, assodato che non vi sono emissioni di
radiazioni ionizzanti, si chiede di verificare le eventuali
ripercussioni sull'ambiente circostante per le radiazioni
elettromagnetiche non ionizzanti, legate all’alternatore ed al cavidotto
di media tensione;
Conclusioni
Alla luce di
quanto sopra esposto, si esprime parere positivo all'implementazione
dell'impianto proposto, purché siano rispettate le specifiche
progettuali e le azioni di mitigazioni previste nello Studio di Impatto
Ambientale presentato ed ulteriormente approfondite le possibili
situazioni di criticità, sopra riportate.
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Rapporto ISAC-CNR:
studio di
qualità dell'aria nella provincia di Lecce 2007
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