Impatti ambientali....-WWF Salento

Impatti ambientali....

 Posizione dell'associazione sui seguenti argomenti
a cura del Comitato Tecnico-Scientifico del WWF Salento
Cambiamenti climatici, ambiente ed energia
Difendiamo gli Ulivi del Salento - Emergenza Xylella
Il no del WWF a TAP
Centrali termoelettriche a biomasse nel Salento
Emissioni, gas serra e clima
Fotovoltaico
Nucleare
Parchi eolici nel Salento
Studio di qualità dell'aria nella provincia di Lecce
 
Cambiamenti climatici, ambiente ed energia Linee guida per una strategia nazionale di adattamento e mitigazione
 
Difendiamo gli Ulivi del Salento - Emergenza Xylella:
Il dramma rappresentato dal disseccamento degli ulivi nel Salento deve essere un'occasione virtuosa per il rilancio sostenibile dell'olivicoltura, in una più ampia prospettiva agroecologica, culturale e di rivalutazione paesaggistica dell'olivo.  
Il WWF ritiene che il disseccamento degli ulivi debba essere studiato in ogni sua componente e complessivamente, in maniera tale da cogliere le profonde alterazioni causate dall’opera dell’uomo e dai cambiamenti complessivi degli equilibri ecologici. Deve essere questa la linea guida che deve ispirare la ricerca, l’attuazione delle azioni di prevenzione e le indicazioni operative che il mondo agricolo - e non solo - aspetta da tempo.
Non si può ignorare, pur in questo delicato momento, che la diffusione della monocoltura olivicola (in provincia di Lecce è oltre il 50% della Superficie Agricola Utilizzata) e l’uso incontrollato di diserbanti e pesticidi ha determinato una preoccupante riduzione della biodiversità.
E’ bene ricordare che il territorio pugliese (quello salentino in particolare) è agli ultimi posti tra le regioni italiane come percentuale di aree boscate e seminaturali in rapporto alle superfici agricole, e che esso denota dal “Rapporto di Valutazione ambientale strategica del Programma operativo 2007-2013 uso del suolo, attività estrattive, vulnerabilità alla desertificazione, rischio naturale (idrogeologico e sismico)”, una medio-alta vulnerabilità all’erosione e alla desertificazione.
Occorre ammettere che da troppo tempo nel Salento, per responsabilità diffuse (da parte di istituzioni, operatori e organizzazioni agricole, produttori e fornitori di prodotti per agricoltura) sono state accettate e praticate attività che hanno portato ad una progressiva riduzione delle sostanza organiche nei terreni, con conseguenze compromissione delle naturali capacità di difesa degli organismi vegetali. Parallelamente i mutamenti climatici in atto sono responsabili di fenomeni di diffusione di organismi animali e vegetali estranei, causati anche del rilevante e spesso incontrollato traffico mondiale di essenze vegetali, rispetto ai quali i nostri habitat hanno limitate capacità di difesa.
Tutto ciò ha sconvolto, nel giro di pochi decenni, millenari equilibri naturali, che oggi chiedono il conto, come è nell’ordine naturale delle cose. Oggi la Xylella, domani si potranno registrare altri drammatici effetti di un sovvertimento crescente di consolidati equilibri.
 
 In questo quadro  il WWF Puglia Ritenendo che questa emergenza, oltre al dovere di affrontarla con soluzioni adeguate sotto l’aspetto ambientale, economico e sociale, sia l’occasione per il Salento di riconsiderare il sistema agricolo e olivicolo sulle basi di un ritorno all’utilizzo delle pratiche rispettose dell’ambiente, della biodiversità e del paesaggio,
Propone agli enti competenti che attuino o promuovano le seguenti azioni:
1) che la ricerca scientifica, che ha visto l’impegno di enti qualificati (Osservatorio Fitosanitario Regionale della Puglia, Università di Bari - Dipartimento di Scienze del Suolo della Pianta e degli Alimenti, CNR - Istituto di Virologia vegetale di Bari, Consorzio di Difesa delle Produzioni intensive della provincia di Lecce) sia estesa alle altre istituzioni scientifiche come lo IAMB di Valenzano, le Università di Foggia e del Salento, le Organizzazioni pubbliche e private della provincia di Lecce, e che possa avvalersi di adeguati finanziamenti.
2) che si attivino azioni organiche per eliminare o perlomeno limitare l’uso di erbicidi e disseccanti nelle colture olivicole, proponendo sostanze più naturali e meno nocive, favorendo quanto più possibile tecniche di agricoltura biologica; i dati elaborati dall'Arpa Puglia nella relazione sullo stato di salute del 2011 dicono che la Puglia, con 155.555 quintali di prodotto distribuito nel 2010, resta al quarto posto in Italia per quantità di fitofarmaci utilizzati;
3) che si evitino interventi massicci e indiscriminati che prevedano eradicazioni e uso di pesticidi, in quanto potrebbero risultare controproducenti e nocivi alla salute e all’ambiente e che si promuova la diffusione delle buone pratiche agricole, che comprendano idonee potature periodiche, lo sfalcio dei manti erbosi (in alternativa al diserbo chimico), l’uso di fito-farmaci più naturali (es. poltiglia bordolese), l’impiego di fertilizzanti organici;
4) che, nell’estrema necessità di effettuare eradicazioni di piante infette, sia posta rigorosa attenzione alle alberature monumentali e di pregio sulle quali invece dell'abbattimento si potrebbe mettere in atto la sperimentazione scientifica;
5) che sia avviato un Piano (quinquennale/decennale) di risanamento e rinaturalizzazione del territorio salentino (in aree pubbliche e private) con la creazione di corridoi ecologici, in grado di elevare il livello di biodiversità, e con il contenimento del consumo di suolo e della cementificazione della campagne. 
6) Che si preveda il ristoro economico sostenibile per gli olivicoltori danneggiati

7) Che si apponga vincolo paesaggistico ancora più rigido (come per le aree naturali colpite da incendi) con il divieto assoluto di modificare la destinazione agricola dei terreni interessati. Vanno adottate, infatti, tutte le misure a salvaguardia della destinazione agricola  di tutti i suoli, onde evitare che la vicenda del disseccamento favorisca operazioni di speculazione edilizia a danno della tutela del territorio;
8) Che si ponga l’obbligo di interventi di manutenzione ordinaria degli oliveti abbandonati e da affidare eventualmente in comodato ad aziende agricole operanti sul territorio;
9) Che si proceda ad una rigorosa verifica e monitoraggio degli adempimenti previsti dalla PAC.
 
WWF Salento - WWF Puglia
 

Il NO del WWF a TAP

Il WWF Salento ha da sempre contestato il punto di approdo del gasdotto a San Foca proponendo, per giungere a una mediazione, l'alternativa nell'area già industrializzata e fortemente compromessa dal punto di vista ambientale, di Cerano, nella zona industriale di Brindisi, convertendo quest'ultima da produzione a carbone a metano.

In questa prospettiva riteniamo che la realizzazione di TAP avrebbe potuto essere l?occasione per dare inizio a una politica ambientale più sostenibile delle energie, ponendo rimedio, almeno in parte, agli ingenti danni in termini di inquinamento che la centrale di Cerano ha perpetuato in questi anni al Salento.

Oltre a tali considerazioni in materia di tutela ambientale, il WWF Salento ritiene che un'opera di tale impatto, seppur definita strategica per il fabbisogno energetico del Paese, non possa essere realizzata in un territorio che la respinge e rifiuta in tal modo. Nessun intervento sul territorio, a nessuna latitudine e per alcun motivo, dovrebbe essere imposto con la forza alla popolazione che lo abita. La decisione di realizzare opere di questa entità deve necessariamente essere condivisa e partecipata, e non può prescindere da un propositivo e reale processo di ascolto del territorio.

Il WWF Salento, pertanto, è vicino e sostiene la protesta dei NO TAP, condanna le modalità di intervento da parte dello Stato relative alla realizzazione dell?opera e, in particolare, l'uso della forza esercitata in questi giorni sui manifestanti.

Temiamo inoltre per la sorte degli ulivi espiantati e vigileremo sul loro destino.

Per approfondire: Le osservazioni del WWF presentate al ministero


 
Centrali termoelettriche a biomasse nel Salento: Opportunità e rischi per l’ambiente e la salute.
II proliferare di progetti per realizzare centrali elettriche alimentate a biomasse in tutta la Provincia ha già suscitato in vasti settori della società civile e dell'opinione pubblica salentina una decisa quanto motivata opposizione. Il WWF provinciale ne condivide le ragioni, e ne aggiunge di sue. Pur aspettando di valutare singolarmente ed in dettaglio le diverse situazioni, la nostra contrarietà è fondata su una realistica valutazione dei rischi assai concreti, e dei benefici assai dubbi, che deriveranno dall'eventuale realizzazione di questi progetti (sulla cui opportunità, come spesso accade, non sono state chiamate ad esprimersi né la società civile né le popolazioni interessate).
Non siamo contrari in linea di principio all'impiego delle biomasse come fonte rinnovabile di energia. Al contrario, il WWF le ha sempre annoverate tra le fonti da promuovere per conseguire gli obiettivi di una minore dipendenza dai combustibili fossili e di una sensibile riduzione dei cosiddetti gas "serra". Ma le scelte in tema di politiche energetiche devono tenere conto del contesto nel quale si esplicheranno. Le nostre obiezioni ai progetti fin qui avanzati riguardano due questioni specifiche per il Salento: le conseguenze per la salute e la qualità della vita delle popolazioni interessate e l'effettivo contributo dei progetti allo sforzo per conseguire uno sviluppo ispirato all'eco-sostenibilità.
Riguardo alla prima questione, è evidente che le nuove centrali, anche se dotate delle più moderne tecnologie, contribuirebbero comunque ad accrescere i livelli di inquinamento dell'aria e del terreno, che in questo territorio hanno già assunto dimensioni allarmanti a causa degli insediamenti industriali di Brindisi e di Taranto e della centrale termoelettrica a carbone di Cerano. È difficile trovare una valida giustificazione per scelte che aumentano il rischio per la salute dei cittadini e dell'ambiente, in un territorio come il nostro nel quale da diverso tempo si segnala un aumento consistente dell'incidenza di malattie tumorali; tanto più quando il costo in termini di salute collettiva non appare giustificato da reali fabbisogni energetici ai quali non si potrebbe in altro modo far fronte.
Molti dimenticano, troppo facilmente, che già adesso in Puglia, viene prodotta più energia elettrica di quanta ne occorra per i nostri fabbisogni domestici ed industriali. La considerazione, sollevata da più parti, che è necessario farsi carico di queste problematiche su ampia scala si contrappone in maniera incontrovertibile alle strategie socio-economiche e agli studi tecnico-scientifici di elevato livello qualitativo che impongono una corretta pianificazione degli insediamenti energetici su scala locale per garantire un giusto equilibrio tra costi e benefici.
Quanto alla sostenibilità ecologica dei progetti, la loro giustificazione ci appare, ci si consenta questo gioco di parole, francamente insostenibile. I benefici ambientali dell'impiego delle biomasse appaiono evidenti e decisivi solo se le stesse biomasse sono i sottoprodotti delle pratiche agricole o delle lavorazioni industriali di colture vegetali destinate all'alimentazione o alla produzione di fibre o di legname lavorabile. Quando invece, sono ricavate da monocolture intensive esplicitamente destinate a tale scopo, i vantaggi ecologici ed energetici si riducono fino ad annullarsi, come dimostrano ripetutamente gli studi in questo settore ("biocarburanti" per autotrazione compresi).
Nel quadro delle nuove strategie socio-economiche territoriali di qualità messe in campo da enti, istituzioni e da una certa imprenditorialità più evoluta e sensibile, non è dunque accettabile che ampie superfici agricole vengano sottratte alle produzioni tradizionali per destinarle alla coltivazione diretta di biomasse che assicurerebbero solo vantaggi esigui in termini ambientali; infatti, nonostante la stessa biomassa sia una fonte rinnovabile (derivata dal Sole), le moderne pratiche agroindustriali ed il trasporto del prodotto finale al sito di utilizzo necessitano l'impiego di petrolio e dei suoi derivati. È un percorso progettuale molto deludente per un'alternativa alla dipendenza dai combustibili fossili.
Purtroppo i progetti in cantiere prevedono proprio l'impiego di biomasse da colture (in particolare girasole) destinate a tal fine, avvantaggiandosi degli incentivi pubblici previsti per la conversione, per esempio, delle aree destinate in passato alla coltivazione del tabacco. Queste coltivazioni richiedono, tra l'altro, una consistente disponibilità di acqua per le irrigazioni, un problema alquanto trascurato malgrado la cronica penuria idrica del nostro territorio. Non solo. Poiché la produzione locale di biomasse potrebbe rivelarsi insufficiente, già si ipotizza la necessità di importarle dall'estero; in tal caso verrebbero completamente disattese le esigenze di eco-sostenibilità, con un bilancio in passivo sia in termini energetici che di emissione dei cosiddetti gas serra.
Se il ricorso alle biomasse nasce da una reale esigenza socio-ambientale, e non da valutazioni di natura meramente economica (profitti per le imprese e royaltìes per rimpinguare le finanze municipali), allora una delle strade serie percorribili è quella che porti alla realizzazione di impianti di potenza limitata, alimentati da biomasse ottenute dagli scarti delle lavorazioni agricole provenienti dallo stesso comprensorio che ospita la centrale (nel nostro contesto, in particolare quelle dell'olivo e della vite).
Altre soluzioni sostenibili potrebbero essere la produzione di biogas e compost di elevata qualità derivati sempre da biomasse costituite da resti di lavorazione agricole salentine.
Per quanto riguarda la scelta dei siti interessati, questa non può essere lasciata alle scelte discrezionali delle singole Amministrazioni locali (come contemplerebbe il nuovo Piano Energetico Regionale) ma, dopo aver coinvolto le comunità interessate, andrebbe demandata ad un organo decisionale intercomunale per armonizzare le politiche energetiche evitando situazioni di "affollamento" di siti, soprattutto nelle zone di confine tra più feudi (come avverrebbe, per esempio, se le centrali previste a Novoli e nella zona industriale di Lecce fossero entrambe realizzate).
Infine, alla nuova potenza generata dovrebbe corrispondere, con un meccanismo di compensazione, certificato e controllato in maniera rigorosa, un'equivalente riduzione delle potenze di esercizio delle grandi centrali elettriche a combustibile fossile, a cominciare da quella di Cerano che, con buona pace degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto, continua ad essere alimentata dal vecchio e inquinante carbon fossile.
È, la nostra, una posizione ragionevole, non pregiudizialmente avversa allo sviluppo e alla diversificazione delle fonti energetiche, ma anche attenta agli interessi collettivi ed al coinvolgimento delle comunità locali. Queste ultime, però, devono guadagnarsi da sé l'influenza che hanno il dirittodovere di esercitare sulle scelte che le riguardano, perché né il mondo imprenditoriale né il ceto politicoamministrativo sembrano spontaneamente disposti a riconoscere loro.
In questa prospettiva, un elemento importante è il peso che potrà esercitare l'associazionismo ambientalista e culturale nella direzione di una proposta credibile e di qualità in rete con altre realtà associative; ciò potrebbe contribuire molto positivamente nelle controversie e negli accesi dibattiti che si sono aperti (e che si apriranno sempre più) intorno all'ipotesi di costruzione di una moltitudine di centrali termoelettriche a biomasse nel Salento.
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Emissioni, gas serra e clima - Ridurre del 30% le emissioni dei gas serra entro il 2020.

Questo l’importante obiettivo, che riguarda l’Italia come il resto d’Europa, che si è dato il WWF ed è il punto di partenza della Campagna GenerAzione Clima.
Il raggiungimento di questo obiettivo contribuirà a salvaguardare il 30% delle specie animali e vegetali oggi a rischio
estinzione a causa dei cambiamenti climatici e alla riduzione degli impatti del clima anche sull’uomo.
Allo stato attuale, in Italia mancano strumenti di programmazione economico- legislativa su clima ed energia, sia nel breve che nel medio-lungo periodo, che possano garantire il raggiungimento degli obiettivi di riduzione sopra indicati e la realizzazione di obiettivi ancora più ambiziosi per il futuro. L’assunzione di responsabilità da parte delle Istituzioni nazionali è quindi un aspetto fondamentale. Ecco perché il MANIFESTO PER IL CLIMA, strumento con il quale la campagna GenerAzione Clima propone e chiede ai cittadini di appoggiare l’adozione di una strategia integrata sul clima a livello istituzionale.
Si proporrà la definizione di un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra di lungo termine, e di tappe pluriennali; tali obiettivi avranno valore di impegno non modificabile.
Questo porterà necessariamente a una serie di strumenti strategici che consentiranno al nostro Paese il raggiungimento reale degli obiettivi fissati, sulla scorta di quanto sta già accadendo nei maggiori Paesi Europei, a cominciare dalla Gran Bretagna.
Generazione Clima chiede, dunque, un’attivazione collettiva per diminuire del 30% al 2020 le emissioni di gas serra.
Tra i punti d’intervento strategici vi sono:
• la progettazione di case e luoghi di lavoro eco-sostenibili;
• l’uso dei mezzi pubblici di trasporto e dei veicoli non inquinanti;
• un ripensamento del sistema produttivo in termini di qualità e sostenibilità ambientale;
• il sostegno a una produzione agricola locale attenta ai valori e alle risorse ambientali ed una corretta gestione delle aree naturalistiche;
• una politica energetica che favorisca lo sviluppo e l'utilizzo locale delle risorse rinnovabili.
In Italia il 30% della spesa energetica dipende dalle nostre abitazioni, che sono responsabili di circa il 27% delle emissioni nazionali di gas serra. Ogni famiglia di 4 persone consuma per la casa circa 1,8 TEP (tonnellate equivalenti di petrolio) all’anno, per l’uso di combustibili e di energia elettrica.
Più della metà di tale consumo è assorbito dal riscaldamento. Inoltre, di tutta l’energia consumata in una stagione per riscaldare un edificio, una buona parte viene dispersa dalle strutture (tetto, muri, finestre) e una parte dall’impianto termico (rendimento).
Questi consumi possono essere drasticamente ridotti.
Riducendo le dispersioni e utilizzando apparecchi ad alta efficienza, ad esempio, ogni famiglia può risparmiare dal 20 al 40% delle spese per riscaldamento, con notevoli vantaggi per il bilancio economico familiare e per l’ambiente.
Per raggiungere l’importante obiettivo di riduzione del 30% delle emissioni al 2020 è fondamentale l’attivazione del settore dei trasporti e mobilità sostenibile (la Carta di Aalborg 1994 per lo sviluppo urbano sostenibile prevede, nelle città, la priorità ai mezzi di trasporto ecologicamente compatibili e la disincentivazione dell’uso superfluo dei veicoli a motore mediante apposita pianificazione con percorsi ciclabili e pedonali o l’uso dei mezzi pubblici) . L’apporto del settore dei trasporti alle emissione di CO2 in Italia è, infatti, pari al 25% del totale delle emissioni.
A determinare questa situazione contribuisce in maniera assolutamente rilevante il fortissimo squilibrio in favore del traffico veicolare che, secondo i dati aggiornati al 2005, ha raggiunto nel nostro Paese una quota del 92,4% del traffico passeggeri e del 65,8% del traffico merci a fronte di medie europee decisamente inferiori, rispettivamente attorno al 78% e al 44%.
Il WWF nell’ambito della Campagna GenerAzione Clima intende coinvolgere anche il mondo produttivo perché il contributo che le grandi aziende possono dare alla lotta ai cambiamenti climatici è fondamentale, sia per la riduzione degli impatti diretti (riduzione delle emissioni di gas serra) che per la realizzazione di prodotti e servizi che concorrono al raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
Il Programma Internazionale WWF Climate Savers propone alle grandi aziende di adottare volontariamente piani di riduzione delle emissioni di gas serra, attraverso strategie e tecnologie innovative che consentono loro di assumere il ruolo di leader nella riduzione delle emissioni di CO2 in un determinato settore.
Il Programma promuove l’efficienza energetica nei processi produttivi e negli stabilimenti/sedi, l’utilizzo/produzione di prodotti ad alta efficienza, l’utilizzo di fonti rinnovabili.
Climate Savers è la dimostrazione concreta di come le aziende che agiscono a favore del clima riescano a cogliere anche notevoli opportunità di sviluppo. La lotta al cambiamento climatico, in altre parole, si traduce per l’azienda in efficienza e risparmio energetico, innovazione e competitività.
L’abbattimento delle emissioni di CO2, che l’Italia dovrà effettuare, potrà essere garantito anche dai “serbatoi” di carbonio rappresentati dai boschi.
Più di un terzo della penisola è ricoperto di verde. I dati del nuovo Inventario nazionale assegnano a questa superficie un’estensione di oltre 10,457 milioni di ettari, pari al 34,7% del territorio nazionale. All’interno di questo dato la superficie boschiva viene indicata in 8,759 milioni di ettari, corrispondente al 29,1% della superficie nazionale.
Liguria e Trentino sono i distretti territoriali più densamente boscati: con un grado di copertura percentuale rispettivamente del 62,6 e del 60,5%, queste regioni costituiscono gli unici ambiti amministrativi in cui il bosco copre più della metà del territorio.
Per contro le regioni più povere di boschi sono la Puglia e la Sicilia, con percentuali di superficie boscata rispettivamente del 7,5 e del 10%. Grazie all’azione di assorbimento esercitata dalla superficie forestale, l’Italia si troverà garantita una quota di deduzione pari a circa l’11% del totale delle emissioni da abbattere.
In termini economici questa quota vale non meno di 750 milioni di euro: tale, infatti, sarebbe la spesa che occorrerebbe sostenere per coprire un’analoga quota acquistando dall’estero i crediti mancanti secondo il meccanismo dell’emission trading.
L’Italia è il Paese del sole e del vento, eppure siamo in ritardo persino rispetto alla Germania, situata certamente a latitudine maggiore, nella produzione di solare e fotovoltaico perché, dal dopoguerra, abbiamo puntato solo sul nucleare e sul carbone, le cui emissioni “climalteranti” sono tra le più alte, oltre a generare un’esposizione a patologie mortali tra le più significative al mondo.
Ma se vogliamo che le fonti di energia rinnovabile, diano un contributo sostanziale alla nostra produzione di energia, dobbiamo considerare che, nella maggior parte dei casi, esse sono discontinue, salvo la geotermia e la biomassa. La rete elettrica, attualmente esistente, è stata pensata per funzionare con centrali ad energia concentrata e non dispone di sistemi di accumulo. Con l’introduzione su larga scala di energie rinnovabili discontinue tale fragilità verrebbe accentuata e non consentirebbe la chiusura delle centrali tradizionali.
Dobbiamo, per questo, effettuare una rivoluzione rispetto alle nostre abitudini consolidate e pensare in termini di generazione distribuita di energia a partire da risorse presenti sul territorio.
La grave crisi in atto ed il mondo globalizzato impongono di pensare ed agire in termini planetari: il genere umano non può più permettersi di impostare i propri meccanismi politici ed economici in termini di competizioni di piccoli gruppi o nazioni.
E’ altrettanto importante, contestualmente, pensare ed agire sul territorio: reperendo le energie rinnovabili presenti in esso, rispettando gli equilibri del suo ecosistema, riqualificando la terra e il mare, valorizzando la biodiversità e il paesaggio, sensibilizzando la popolazione verso una cultura della sobrietà energetica che sappia tradursi in stili di vita sostenibili, investendo nella formazione e condividendo il meglio delle esperienze regionali messe in campo.
E’ questa la politica che dovrebbe seguire il Salento, che agli sforzi compiuti nello sviluppo delle energie rinnovabili, sappia imporre delle regole precise per una sistematica e consequenziale riduzione della produzione di energia da fonti fossili. La nostra Associazione pertanto chiede che vengano varate rigide normative che impongano all’Enel (e alle altre compagnie elettriche) di ridurre progressivamente, attraverso protocolli di verifica da parte di enti terzi qualificati, la riduzione di energia derivante da fonti fossili man mano che sul nostro territorio viene prodotta energia da fonti rinnovabili come l’eolico e il fotovoltaico.
Occorre dunque sostenere una politica in grado di dimostrare quanto l’autonomia energetica di un Paese possa essere raggiunta senza ricorrere al nucleare, così come previsto nei piani del Governo attuale. Attualmente questa forma di energia copre poco più del 6% del fabbisogno energetico mondiale ed è destinata a ridursi drasticamente nei prossimi decenni per problemi legati alla gestione delle scorie, ai costi proibitivi di dismissione delle centrali che hanno concluso il proprio ciclo di vita (a meno che non vengono scaricati sulla collettività) e al costo per kWh dell’energia prodotta. Si tenga presente che secondo una stima del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, alla luce degli attuali prezzi di mercato, se oggi si pensasse di costruire una nuova centrale nucleare, ciò comporterebbe oltre 8-10 anni di lavori e un costo dell’energia elettrica di 6,13 centesimi di dollaro per ogni kWh contro i 4,96 da gas, 5,34 da carbone e 5,05 da eolico.
Ci auguriamo che il nostro Paese possa unirsi alla sfida globale ai cambiamenti climatici, è questa un’opportunità in grado di fornirci i mezzi per ripensare il nostro modo di produrre e consumare, con la migliore capacità di visione e di innovazione possibile.
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Fotovoltaico
[documento in fase di redazione]
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Nucleare (documento dell' aprile 2006)
Posizione WWF Italia                 Appello per un Comitato Nazionale Fermiamo il nucleare, non serve all’Italia
A distanza di 20 anni dal disastro di Chernobyl, il più grave incidente nucleare della storia, il dibattito sul futuro di questa fonte energetica appare più vivo che mai. Crisi del petrolio, aumento dei consumi, cambiamento climatico sono solo alcune delle motivazioni che spingono molti a riconsiderare l’opzione nucleare come percorribile e necessaria.
Occorre dire, in realtà, che tutto il dibattito sull’energia nucleare risulta in qualche modo fondato su una serie di inesattezze e falsi miti. Negli scorsi decenni il nucleare ha perfettamente incarnato il modello di fede cieca nella tecnologia, ritenuta capace di risolvere tutti i problemi dell’umanità, e non solo quelli energetici. L’uomo ha pensato di poter imbrigliare l’atomo per produrre energia “infinita” e “pulita”. I fatti hanno però dimostrato esattamente il contrario: l’energia nucleare non solo non era infinita ma ancor di più non era pulita. E prima ancora di avere risolto i problemi connessi con la sicurezza degli impianti, con il loro smantellamento al termine del ciclo di vita e con la gestione delle scorie, decine e decine di centrali sono state costruite in molti paesi industrializzati e non.
Ma questa è la storia, il passato, giacché attualmente risultano di fatto fermi la maggior parte dei programmi di sviluppo ed espansione dell’energia nucleare in quasi tutti i paesi del mondo se non i quelli che stanno cercando di dotarsi di un proprio arsenale di armi atomiche o quei paesi emergenti come la Cina e l’India che, sotto la pressione di una economia fortemente in crescita, vedono nel nucleare, sovvenzionato e sostenuto dallo stato, una delle possibili opzioni per far fronte alla crescente richiesta di energia elettrica.
Del resto che il contributo attuale al fabbisogno energetico mondiale fornito dal nucleare si attesti sul modesto valore del 6,5% dell’energia primaria è la IEA (International Energy Agency – World Energy Outlook 2005) ad affermarlo. La stessa Agenzia non ha problemi a dichiarare che questo contributo sarà destinato a ridursi al 4,5% nel 2030. Se andiamo ad analizzare le ragioni di questa crisi ci accorgiamo che sono di natura economica ancor prima che ambientale e sociale.
Quella nucleare è da sempre stata la più costosa delle fonti energetiche e questo non sono le associazioni ambientaliste a sostenerlo ma enti ed università peraltro notoriamente non avverse a questa risorsa. Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha recentemente stimato che se oggi si pensasse di costruire una nuova centrale nucleare, questa sarebbe terminata dopo il 2010 e, alla fine il costo di 1 kWh di energia elettrica verrebbe a costare 6,13 centesimi di dollaro, quando lo stesso kWh prodotto da gas costerebbe 4,96 centesimi e quello da carbone 5,34, addirittura costerebbe meno l’energia da fonte eolica (5,05 centesimi a kWh). Si tratta peraltro di stime ottimistiche e benevole nei confronti del nucleare, ma il risultato resta quello di una bocciatura dal punto di vista economico di questa fonte energetica. A risultati analoghi giunge un importante studio realizzato dalla Chicago University. Anche il Massachusetts Institute of Technology in uno studio del 2003 assegnava i costi più alti al kWh nucleare.
In realtà queste valutazioni economiche, già poco favorevoli all’energia nucleare, potrebbero essere fortemente sottostimate in particolare per quanto concerne i costi del “decommissionamento” degli impianti e il trattamento delle scorie di lungo periodo.
Del resto non è un mistero che se negli scorsi decenni la tecnologia nucleare si è sviluppata è stato solo grazie ai massicci finanziamenti governativi strettamente connessi alla corsa agli armamenti nucleari. Gli elevati capitali di rischio e i tempi troppo lunghi di costruzione e di rientro sull’investimento hanno rappresentato uno dei più forti deterrenti per gli investimenti privati. Sono questi alcuni dei motivi per cui la Banca Mondiale evita di fare investimenti nel settore nucleare.
Ed è probabilmente per le stesse ragioni che negli USA non si costruiscono più reattori nucleari dal lontano 1984. Ai già citati costi economici bisognerebbe poi aggiungere quelli umani e sociali legati al problema della sicurezza, non solo per l’impianto termonucleare ma anche per il deposito di stoccaggio delle scorie, per il trasporto del materiale esausto, ecc. Si tratta di costi notoriamente sottovalutati e che nessuna compagnia di assicurazione copre: il tutto ricade sulle finanze dello stato e quindi sulla collettività.
Altro falso mito è connesso alla presunta abbondanza dell’uranio in natura. È vero si che si tratta di un minerale piuttosto diffuso ma solo in concentrazioni infinitesime, tanto basse da non risultare praticamente sfruttabili. Oggi solo in pochi paesi sono presenti importanti giacimenti e oltre il 50% delle riserve accertate risultano concentrate in Australia, Kazakistan e Canada.
Da un recente lavoro curato da Giuseppe Onufrio e Edo Ronchi dell’ISSI (Istituto Sviluppo Sostenibile Italia) è emerso che le riserve commercialmente estraibili ai costi attuali (40 $/kgU) consentirebbero il funzionamento per meno di 40 anni dei reattori che erano in funzione al 2000. Nel complesso, le riserve di Uranio commercialmente estraibili coprirebbero un arco di poco oltre un secolo tenendo costante i consumi all’anno 2000. Va da sé che, se si pensasse di sostituire, per la produzione di elettricità, tutta l’energia fossile con quella nucleare occorrerebbe realizzare alcune migliaia di nuove centrali e quel punto le riserve di uranio si esaurirebbero nel giro di
pochissimi anni.
I sostenitori del nucleare affermano che si tratta di una fonte pulita e sicura, quasi che ci si dimentichi dell’enorme
problema della gestione delle scorie. L’energia nucleare, nel suo ciclo di produzione, inevitabilmente origina delle scorie radioattive la cui gestione costituisce di fatto il più grave dei problemi non risolti. Il fatto che la ricerca della soluzione a questo problema abbia goduto per 50 anni degli investimenti più massicci rispetto a qualsiasi altra tecnologia ci fa temere che il problema resterà insoluto anche perché non esiste la possibilità scientifica di dimostrare il mantenimento delle condizioni di sicurezza necessarie per alcune centinaia di migliaia di anni richieste dai rifiuti radioattivi.
Anche solo alla luce di quanto appena detto appare assai poco comprensibile tutto il dibattito recentemente sviluppatosi, in Italia, sul rilancio del nucleare a cui il nostro paese aveva rinunciato con il referendum del 1987. Il nostro Paese deve ancora fare i conti con quel poco di nucleare fatto in passato occupandosi dello smantellamento degli impianti e della collocazione finale delle scorie prodotte. Mettere in sicurezza gli 80.000 m3 di scorie provenienti dalla demolizione delle parti contaminate dei reattori e dai combustibili esausti costerà all’Italia diversi miliardi di euro. Un prezzo che già oggi in qualche modo stiamo pagando sulle nostre bollette della corrente elettrica.
Il caso di Scansano Ionico, individuato dal Governo Berlusconi come sito nazionale per lo stoccaggio delle scorie, ha mostrato poi un altro aspetto di non secondaria importanza: la scarsa accettazione sociale che contraddistingue opere altamente impattanti, anche dal punto di vista del danno allo sviluppo economico di un’area, oltre che di minaccia diretta per la salute dell’uomo e dell’ambiente, adesso ed in futuro.  Appare quindi sempre più evidente che l’unica strada sostenibile in materia di energia sia quella rappresentata
dall’efficienza energetica e dal sempre più forte ricorso alle fonti rinnovabili e pulite.
I nostri auspici, e un invito alla classe politica salentina, sono pertanto per un forte e concreto impegno per sostenere, appunto, l’efficienza energetica degli edifici pubblici e privati, lo sviluppo del fotovoltaico, del solare termico, del medio e, soprattutto piccolo eolico (abbiamo proposto e sosteniamo anche il grande eolico solo nel caso di impianti in mare distanti dalla costa definiti “offshore”) stante le peculiari caratteristiche paesaggistiche e climatiche del Salento e dell’enorme superficie “captante” costituita dalle migliaia terrazze delle abitazioni della nostra provincia.
Il nostro contributo al grande Piano Energetico Nazionale ed Europeo deve partire non da un’impostazione solo “globale” ma occorre che il “locale” diventi protagonista del cambiamento. È tempo, insomma, del cosiddetto “glocalismo” sostenibile - un neologismo oggi in voga - che cerca, anche se con molte critiche (Mander e Goldsmith 1998), di coniugare la globalizzazione dei mercati (con le regole) e la professionalità e la creatività locale per contribuire concretamente ad una diversa qualità della vita.
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Parchi eolici nel Salento
Premessa Gli aspetti connessi agli impianti per la produzione di energia alternativa e rinnovabile nella realtà del nostro territorio rivestono particolare complessità per una serie di ragioni socio-economiche, politico-amministrative e per le peculiari caratteristiche paesaggistiche del Salento.
In estrema sintesi, se ci riferiamo al solo settore della produzione di energia eolica, la cronaca passata e recente testimonia numerose difficoltà di accettazione di tale tipo di impianti da parte della popolazione salentina che risiede in numerosissimi comuni (97) molto vicini tra loro. È notorio, infatti, che la realizzazione di un impianto eolico realizzato in un certo territorio comunale del Salento - comporta delle royalty (e/o altre "prebende") all'amministrazione locale - anche per il negativo impatto paesaggistico (!?) che determina a scapito dei comuni viciniori che a loro dire ricevono solo "danni" (?!) e senza nessun  risarcimento. Sono ormai anni che si assiste a continue polemiche in tal senso. In alcuni casi interviene anche la Soprintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici. Il linguaggio alla fine, come sempre, è legato solo a benefici economici concreti e immediati visto soprattutto che le risorse degli enti locali sono sempre più esigue e che le "rimesse" da parte del Governo sono continuamente tagliate.
Il vantaggio degli impianti eolici offshore, invece, è che tutto questo viene eliminato:
- Le competenze sono demandate a enti "superiori" (Governo e/o Regione) evitando conflitti e polemiche;
- Le potenze delle torri possono essere superiori (non c'è l'esigenza di ridurne l'altezza per questioni paesaggistiche)
- Possono essere aggiunte altre tecnologie come la produzione di energia che si può ottenere dal moto ondoso e dalle correnti;
- Un aspetto tecnologico molto importante (e potrebbe essere un nostro suggerimento "originale") è che l'istallazione di un impianto di questo tipo nel Canale d'Otranto ha già la possibilità di connettersi nella rete internazionale intercettando - se così possiamo dire - il cavo già esistente tra l'Italia e la Grecia che "attracca" a Otranto nei pressi del porto.
- Ci sono anche altri vantaggi minori ma importanti come per esempio la possibilità di essere un "ancoraggio" di fortuna in caso di naufragio o di difficoltà di natanti, ecc. 
 PARERE TECNICO SUL PARCO EOLICO OFFSHORE SU PIATTAFORME SOMMERSE A SPINTA BLOCCATA, IN ACQUE PROFONDE NELLO SPECCHIO D’ACQUA CANALE DI OTRANTO, LOC. TRICASE – PROPRIETA' SKY SEVER SRL.
Dando per acquisita, e condivisa da tutti, la conoscenza degli indubbi vantaggi della produzione di energia da fonte eolica, sia dal punto di vista economico, che ambientale, non vi è, comunque, dubbio che non si debba generalizzare e pensare di poter installare, impianti di decine di MW di potenza, in qualsivoglia sito, indipendentemente dal contesto in cui si verrebbero a trovare ed indipendentemente dall'architettura e dalla tecnologia usata.
Nel caso dell'impianto proposto dalla Sky Sever srl, dall'analisi della documentazione tecnica messa a disposizione, risulta evidente come siano stati presi in esame, in sede di progetto, tutti i punti di criticità, sia dal punto di vista paesaggistico, che ambientale, oltre che della sicurezza e della ricaduta economica/occupazionale sul territorio.
Rimanendo nel campo paesaggistico/ambientale, da quello che risulta dall'esame dello Studio di Impatto Ambientale presentato, non sembra che ci siano motivi per opporsi all'implementazione di una simile struttura che, in teoria, non presenta ripercussioni negative rilevanti sull'ambiente, una volta che l'impianto arrivi a funzionare a regime.
Gli unici impatti degni di nota, sembrano presentarsi solo nella fase iniziale di messa in opera ed attivazione dell'impianto e, comunque, sembrano essere programmati per avere i minimi effetti negativi possibile.
Ciononostante, si richiede una maggiore attenzione ad alcuni aspetti che potrebbero presentare delle criticità, forse, non abbastanza indagate nei loro effetti sull'ambiente.
Nel dettaglio:
·         per quel che riguarda l'inquinamento acustico, si dovrebbe accertare che le emissioni dell'impianto non siano nel campo delle frequenze che vanno dai 20 kHz ai 200 kHz, per scongiurare qualsivoglia danno alle capacità di ecolocazione e di udito dei cetacei;
·         per le vernici antivegetative, benché si riconosca la necessità del loro uso, se ne raccomanda la loro applicazione ai casi strettamente necessari e l'impiego di prodotti esenti da TBT (pesticida tossico per la fauna marina);
·         per le protezioni catodiche, si approva la scelta degli “anodi sacrificali” in alluminio, al posto di quelli in magnesio o di zinco e mercurio, ma si chiede di valutare la possibilità di impiegare dei sistemi di protezione catodica a corrente impressa con anodo in titanio;
·         per l'emissione di radiazioni, assodato che non vi sono emissioni di radiazioni ionizzanti, si chiede di verificare le eventuali ripercussioni sull'ambiente circostante per le radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti, legate all’alternatore ed al cavidotto di media tensione;
Conclusioni
Alla luce di quanto sopra esposto, si esprime parere positivo all'implementazione dell'impianto proposto, purché siano rispettate le specifiche progettuali e le azioni di mitigazioni previste nello Studio di Impatto Ambientale presentato ed ulteriormente approfondite le possibili situazioni di criticità, sopra riportate.
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Rapporto ISAC-CNRstudio di qualità dell'aria nella provincia di Lecce 2007

 
 
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